mercoledì 30 dicembre 2015

Federer e Nadal , chi è il più grande?

Federer e Nadal , la rivalità delle rivalità


Come loro nessuno mai. Lo dicono i numeri e lo dicono le emozioni che hanno regalato. Qualcuno dice che sono in declino, di certo il meglio lo hanno già dato ma se Federer a 34 anni e mezzo è ancora in grado di battere per tre volte in stagione un Djokovic in formato deluxe e se il maiorchino nell'annata più disgraziata di sempre in cui è apparso più lento, meno potente e più insicuro del solito chiude al numero 5 del ranking, allora... si capisce perchè quando erano al top, questi due fenomeni hanno dominato in lungo e in largo.
Su chi sia il migliore dei due si è aperto un dibattito ormai decennale e nel libro Roger Federer. Perchè è il più grande edito da Area51, si dedica un intero capitolo proprio alla rivalità tra lo spagnolo e lo svizzero. La sensazione è che senza la reciproca ingerenza, entrambi avrebbero vinto molto di più ma che noi da appassionati ci saremmo divertiti molto di meno.
Questo l'estratto del libro in cui si sottolinea la superiorità di Nadal negli scontri diretti ma come il giudizio complessivo vada fatto anche prendendo in considerazione altri fattori.

La copertina del libro Roger Federer Perchè
è il più grande

pubblicato da Area 51
...Prima di snocciolare alcuni record di Federer, abbiamo scomodato Winston Churcill per sottolineare come i dati di fatto siano ottimi argomenti. Analogamente, dobbiamo farlo per indicare un’evidente falla nell’impalcatura che sorregge la nomina a GOAT dell’elvetico. Il bilancio degli head to head è uno sconfortante 23-11 a favore dello spagnolo. Come è possibile che il più grande di sempre abbia un distacco così pronunciato negli scontri diretti con il suo acerrimo rivale? Qui non ci sono solo ragioni tecniche – che di per sé sono significative – ma anche motivazioni caratteriali (se possibili ancora più gravi per chi sostiene Roger). Non c’è dubbio che se si fosse costruito in laboratorio un anti-Federer avrebbe avuto le sembianze e le caratteristiche di Rafael Nadal[1]. Un mancino dalle rotazioni disperatamente accentuate dotato di un fisico che trovava un misterioso equilibrio tra potenza, velocità e resistenza. Da un punto di vista tattico, Federer ha sofferto cronicamente il braccio di ferro sulla diagonale che contrapponeva il suo rovescio a una mano con i dritto turbinoso del maiorchino. Era proprio il particolare effetto, il top spin, che determinava un rimbalzo insolitamente alto a disarmare il rovescio di Federer[2]. Un’evidenza tale da far chiedere a tutti come mai lo svizzero non cercasse soluzioni alternative anziché subire costantemente della pressione esercitata dal colpo migliore di Rafa. La spiegazione ha probabilmente origini “lontane”. Fino all’avvento del suo più grande rivale, Federer non ha quasi mai avuto bisogno di un piano partito specifico in base a chi si trovasse dall’altra parte della rete[3]. Come se la completezza del suo repertorio lo esimesse dallo spremersi per scovare i punti deboli dell’avversario: se si palleggiava da fondocampo faceva valere la maggiore pesantezza dei propri colpi, se veniva attaccato non andava in difficoltà nello sfoderare passanti o lob, teneva tranquillamente sulla diagonale di rovescio e dominava in quella di dritto. Tutto bello, ma nel momento in cui è sopraggiunto un rivale capace almeno in un preciso aspetto di metterlo alle corde, mancava l’attitudine a scegliere una tattica ad hoc per tamponare i punti di forza del rivale.
Ancora più “grave” è la difficoltà – se non addirittura – la sudditanza psicologica che Roger sembrava spesso subire al cospetto di Nadal. L’impressione che si aveva da spettatori era che uno fosse più bravo e talentuoso ma che vincesse l’altro. Soprattutto, quando la partita si trasformava in lotta feroce, il maiorchino appariva più a suo agio, in uno stato prossimo all’esaltazione che lo portava a conquistare i punti più delicati. Persino Federer ha provato ad analizzare questa dinamica: “Ho sempre avuto l’impressione che contro di me giocasse un po’ meglio del solito”. L’affermazione corrisponde al vero ma è sbagliato il focus. Il vero problema non era che Nadal trovasse energie e soluzioni supplementari negli scontri diretti quanto che lo stesso non accadesse a Federer che, spesso, commetteva errori insoliti anche nei colpi abitualmente più affidabili. Soprattutto in determinate condizioni – in particolare sulla terra rossa – per la prima volta Roger si è trovato in una situazione che per tutti gli altri tennisti era nota fin dagli esordi: non essere l’unico responsabile del risultato, sapere che la vittoria non dipendeva soltanto dal proprio stato di forma ma anche da ciò che avrebbe fatto chi si trovava dall’altra parte della rete.
E questo lo infastidiva, preoccupava, destabilizzava. Roger ha spesso lottato ma senza la continuità nell’arco del match necessaria per spuntarla. Se prendiamo come riferimento l’epica finale di Wimbledon del 2008, mentre la concentrazione e l’agonismo di Nadal sono percepibili dal primo all’ultimo punto, sembra che Federer ritrovi il proprio tennis soltanto a tratti, nei momenti più drammatici come i tie-break del terzo e del quarto set dove attinge al suo talento per risalire da una situazione che appare disperata annullando magistralmente matchpoint in un estremo rifiuto alla sconfitta. Non era certo infondata la considerazione posta da un maestro come Rino Tommasi che si chiedeva all’epoca: “Con tutta l’ammirazione e la stima che merita un giocatore come Federer, viene da chiedersi come sia possibile giudicarlo il migliore tennista di sempre se non è neppure così certo che sia il migliore della propria generazione”.
Nel prossimo paragrafo daremo la parola alla “difesa” per valutare se gli head to head contro lo spagnolo rappresentino un ostacolo insormontabile alla candidatura dello svizzero a GOAT.
Statistiche head to head
2004
Miami
USA
Hard
32
NADAL
6-3 6-3
2005
Roland Garros
FRA
Clay
SF
NADAL
6-3 4-6 6-4 6-3
2005
Miami
USA
Hard
FR
FEDERER
6-2 7-6(4) 6-7(5) 3-6 1-6
2006
Masters Cup
CHN
Hard
SF
FEDERER
4-6 5-7
2006
Wimbledon
GBR
Grass
FR
FEDERER
0-6 6-7(5) 7-6(2) 3-6
2006
Roland Garros
FRA
Clay
FR
NADAL
1-6 6-1 6-4 7-6(4)
2006
Roma
ITA
Clay
FR
NADAL
6-7(0) 7-6(5) 6-4 2-6 7-6(5)
2006
Montecarlo
MON
Clay
FR
NADAL
6-2 6-7(2) 6-3 7-6(5)
2006
Dubai
UAE
Hard
FR
NADAL
2-6 6-4 6-4
2007
Masters Cup
CHN
Hard
SF
FEDERER
4-6 1-6
2007
Wimbledon
GBR
Grass
FR
FEDERER
6-7(7) 6-4 6-7(3) 6-2 2-6
2007
Roland Garros
FRA
Clay
FR
NADAL
6-3 4-6 6-3 6-4
2007
Amburgo
GER
Clay
FR
FEDERER
6-2 2-6 0-6
2007
Montecarlo
MON
Clay
FR
NADAL
6-4 6-4
2008
Wimbledon
GBR
Grass
FR
NADAL
6-4 6-4 6-7(5) 6-7(8) 9-7
2008
Roland Garros
FRA
Clay
FR
NADAL
6-1 6-3 6-0
2008
Amburgo
GER
Clay
FR
NADAL
7-5 6-7(3) 6-3
2008
Montecarlo
MON
Clay
FR
NADAL
7-5 7-5
2009
Madrid
ESP
Clay
FR
FEDERER
4-6 4-6
2009
Australian Open
AUS
Hard
FR
NADAL
7-5 3-6 7-6(3) 3-6 6-2
2010
Atp Finals
GBR
Hard
FR
FEDERER
3-6 6-3 1-6
2010
Madrid
ESP
Clay
FR
NADAL
6-4 7-6(5)
2011
Atp Finals
GBR
Hard
FEDERER
3-6 0-6
2011
Roland Garros
FRA
Clay
FR
NADAL
7-5 7-6(3) 5-7 6-1
2011
Madrid
ESP
Clay
SF
NADAL
5-7 6-1 6-3
2011
Miami
USA
Hard
SF
NADAL
6-3 6-2
2012
Indian Wells
USA
Hard
SF
FEDERER
3-6 4-6
2012
Australian Open
AUS
Hard
SF
NADAL
6-7(5) 6-2 7-6(5) 6-4
2013
Atp Finals
GBR
Hard
SF
NADAL
7-5 6-3
2013
Cincinnati
USA
Hard
QF
NADAL
5-7 6-4 6-3
2013
Roma
ITA
Clay
FR
NADAL
6-1 6-3
2013
Indian Wells
USA
Hard
QF
NADAL
6-4 6-2
2015
Basilea
SWI
Hard
FR
Federer
6-3 5-7 6-3

2.1.1 Contro-obiezione: ciò che i numeri non dicono
I fan di Federer tendono a rimuovere il problema degli scontri diretti con Nadal negando la rilevanza dello score nelle sfide face to face.  È vero, in linea generale, che se ci limitiamo a questo aspetto per giudicare i giocatori finiremmo per avere sorprese e dati fuorvianti. Per esempio Federer ha uno score negativo con il modesto slovacco Hrbaty (1-2) mentre ha un devastante 16-0 a suo favore contro un giocatore di primo livello come lo spagnolo David Ferrer. Ma il numero cospicuo di raffronti e il fatto che siano stati dominatori indiscussi della scena per così tanto tempo, non permette di trascurare il peso degli head to head tra Federer e Nadal. A onor del vero, ci sono almeno tre contro-obiezioni che la difesa può avanzare per spiegare – non certo giustificare – il divario così netto a favore dello spagnolo negli scontri diretti:
1.      Superficie: Nadal è il re della terra, nessuno ha vinto come lui sul rosso. Federer è il re dell’erba, nessuno ha vinto come lui sul verde. Con questa premessa è evidente che se il numero di sfide sulla terra battuta è cinque volte superiore a quello sull’erba (15-3), a beneficiarne è lo spagnolo. Se nello sci confrontassimo un discesista e uno slalomista rivali negli stessi anni, i piazzamenti cambierebbero radicalmente prendendo in esami le gare tra i pali stretti e quelle di alta velocità. Questa preponderanza numerica sul terreno prediletto da Rafa si riverbera sul conteggio complessivo. Infatti, se “depuriamo” il conto dall’impietoso 13-2 sul rosso, è facile capire come sulle altre superfici, il raffronto è più equilibrato con Federer che ha la meglio sull’erba e indoor, mentre Rafa mantiene una leggera supremazia sul cemento oudoor.
Ciò non discolpa Federer dall’aver sciupato delle occasioni per vincere anche sulla superficie più avversa: ha perso una finale di Roma dopo aver avuto matchpoint e più volte si è fatto rimontare dall’irriducibile mancino di Manacor difettando di killer istinct[4].
2.      Il vantaggio del successore: Molto spesso nel tennis si assiste ad un passaggio di consegne. Il detentore si vede sfilare lo scettro dal successore: più giovane, più affamato, armato dall’ambizione di diventare leader e non gravato dalla pressione di mantenere una posizione consolidata. Se analizziamo gli head to head storici, ci accorgiamo come quasi sempre chi arriva dopo ha uno score favorevole con il rivale più anziano, ma ciò non è sufficiente per dare giudizi sul valore assoluto dei protagonisti presi in esame. Per esempio, Ivan Lendl che ha raccolto lo scettro da John McEnroe ha uno score favorevole con il demiurgo di You ain’t be serious (19-14) mentre ha un passivo di 5-3 negli head to head con Pete Sampras. Lo stesso Sampras ha perso l’unico scontro diretto con Federer ed è facile prevedere data l’ascesa dello svizzero e il calo fisico dell’americano che, se dopo quel luglio 2001, si fossero affrontati nuovamente, Roger avrebbe avuto maggiori possibilità di incrementare il divario.
E focalizzandoci  sul duello tra Federer e Djokovic, ci accorgiamo di come questa regola tenda a essere rispettata. E’ vero che  in seguito alla finale delle Atp Finals 2015, il computo dopo 44 scontri è  in perfetto equilibrio: 22-22. Ma se approfondiamo l’analisi ci accorgiamo che nella prima metà , con un Federer all’apice e un Djokovic ancora in fase di maturazione, ci sia una netta prevalenza dello svizzero (13-6 nelle prime diciannove sfide) mentre in seguito il serbo ha colmato il divario cristallizzando la propria impennata a numero uno e sfruttando il fisiologico calo di Roger[5].
3.      La reazione di Federer: Abbiamo detto ampiamente di come Federer abbia sofferto l’esuberanza di Nadal e il passaggio di mano nel ranking. Ma è anche vero – ed è un’anomalia quasi assoluta nella storia del tennis - che lo svizzero ha saputo reagire ritrovando smalto, rimboccandosi le maniche e trovando nuove soluzioni. All’iniziale destabilizzazione inevitabile per chi si scopre d’improvviso vulnerabile, è seguita una new wave che ha assicurato a Roger un ritorno in auge. È piuttosto superficiale sostenere che dopo l’annus horribilis del 2013[6], Federer sia tornato in condizioni fisiche simili ai primi anni della carriera. Senz’altro ha risolto i problemi alla schiena che ne avevano condizionato il rendimento e il suo “invecchiamento” è decisamente più dolce rispetto ai predecessori, ma non è mai esistito un giocatore che a 33 o 34 anni fosse reattivo ed esplosivo come a 24 o 25. Piuttosto Roger ha saputo mascherare la carta anagrafica cambiando tattica e stile di gioco: ancora più aggressivo e intenzionato ad accorciare la durata degli scambi, più propenso a scendere a rete e a intensificare le variazioni sul tema. In una recente intervista Federer ha confermato come “Nadal lo abbia spinto a cambiare il suo modo di giocare” ma giudica ciò un passaggio utile per il proprio accrescimento e non una nota di lesa maestà. Al di là dei vantaggi oggettivi comportati dall’impiego di una nuova racchetta e dall’avvento di un tecnico dallo stile elegante e offensivo come Stefan Edberg, è nella ricerca di migliorarsi per continuare a regalare emozioni a se stesso e agli altri che bisogna trovare la didattica di Federer. Non chiediamo ai giovani di emularne la volée di rovescio così come non si chiede ai giovani pittori di emulare le pennellate di Caravaggio, ma insegniamo loro come anche il giocatore più vincente, pagato e amato della storia possa avere voglia di rimettere in discussione il proprio tennis per competere contro i migliori rappresentanti delle generazioni successive. Ed è paradossale che dopo il sorpasso operato da Nadal in testa alla classifica nel 2008, a distanza di sette stagioni, nonostante all’anagrafe lo spagnolo vanti cinque primavere di meno, sia lo svizzero ad apparire meno consunto mentalmente e fisicamente.
E adesso come direbbe il poeta Guccini parafrasando la sua L’avvelenata, “dati causa e pretesto, le attuali conclusioni” rimane da sciogliere un dubbio basilare: chi è più grande tra Nadal e Federer? Anche qui, churcilliani fino al midollo, soppeseremo le ragioni di entrambi per poter dare un giudizio che, seppur arbitrario, sia motivato da parametri tangibili. Come detto, dalla parte di Nadal pende la straripante supremazia negli scontri diretti, la sudditanza psicologica (anche se sempre negata dall’interessato) di Federer quando si trovava lo spagnolo dall’altra parte della rete e il primato di aver conquistato tutti i Master 1000 (a Roger mancano Roma e Montecarlo). Dalla parte di Federer c’è … tutto il resto. Prendiamo in esami i cinque criteri impiegati come linea guida di questo lavoro:
- Vittorie: Federer ha vinto di più sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo. Il bilancio dello Slam che rimane un attendibile indicatore è 17 a 14 per lo svizzero.
- Continuità: Non soltanto il raffronto delle settimane da numero del ranking è impietoso con Roger che doppia abbondantemente Rafa (302 a 141), ma anche la continuità nel corso delle singole stagioni premia l’elvetico. Nadal è stato spesso costretto a stop per problemi fisici e progressivamente ha “accorciato” la stagione saltando appuntamenti importanti. Non è ovviamente una colpa, ma è una conseguenza di quanto, per sua stessa ammissione, lo spagnolo abbia dovuto spremersi per raggiungere il rivale.
- Apice: Come detto, la lunghezza del dominio di Federer non ha eguali. Nadal ha toccato l’apice probabilmente nell’anno di grazia 2010, ma se dobbiamo descrivere il suo regno, forse è più facile identificarlo “spazialmente” che “temporalmente”. Più che di un’egemonia in una stagione, si dovrebbe parlare di un’egemonia su una superficie. Sul “rosso” Nadal ha confermato per un decennio una superiorità difficile da riscontrare non solo nel tennis , ma in qualunque sport: un atteggiamento da cannibale capace di scoraggiare gli avversari ancora prima di scendere in campo.
- Stile: Anche lo stile di Nadal è assolutamente particolare, ma come da lui stesso confermato, meno naturale e più costruito di quello di Federer. Sbaglia, però, chi giudica “ordinario” o ripetitivo il gioco del maiorchino: il trasudare di grinta, voglia ossessiva di vincere, la capacità della chela mancina di affettare ogni palla, lo hanno reso riconoscibilissimo. Di lui si è detto: “Nessuno ha vinto così tante partite giocando male” e rimane uno dei più grandi complimenti da fare a un giocatore. Significa avere quel quid in più che fa la differenza nelle giornate storte: roba da vincenti e spettacolo per fini intenditori.
- Atteggiamento: Per correttezza, abnegazione per il gioco, fair play, impegno nel  sociale e propensione a mettere a disposizione la propria immagine per finalità benefiche, i due fuoriclasse sono alla pari. E i reciproci attestati di stima sembrano genuini, a conferma di come la rivalità tra campioni spesso contenga in sé i genomi del rispetto. In fondo, come spesso affermato dai protagonisti, ad altissimo livello anche dopo il duello più cruente,  vi è l’empatia derivante dal capire cosa provi l’altro. Ognuno dei due nel momento del trionfo era consapevole della delusione che viveva contemporaneamente l’antagonista: gli abbracci e le pacche sulle spalle durante le premiazioni delle finali che li hanno visti contrapposti, sono la logica conseguenza. Semmai, come nota scherzosa, potremmo dire che se un alieno fosse proiettato sul nostro pianeta e scoprisse che uno dei migliori interpreti prima di ogni punto si deve grattare le orecchie, sfiorare il naso, aggiustarsi le spalle, ravanare nel bassoventre e sfrugugliare i posteriori … beh, avrebbe dei dubbi sull’importanza dello stile nel tennis.



[1] Per correttezza e obiettività d’analisi del giocatore spagnolo, quest’analisi si basa sulle numerosi stagioni che hanno visto Nadal come straordinario protagonista della scena e non sulle difficoltà delle ultime stagioni
[2] Per fortuna o sfortuna di Federer, nel circuito non si sono affermati mancini con un dritto in top spin pronunciato come quello di Nadal. Allo svizzero dava più fastidio la rotazione del colpo piuttosto della potenza: contro giocatori dotati di un dritto incisivo ma piatto, Federer non ha sofferto.
[3] Non è un caso che Roger non abbia avuto un tecnico fisso che lo seguisse fulltime per molti anni
[4] Non solo contro Nadal, Federer ha sempre pagato, per esempio, una difficoltà evidente nel convertire le palle break.
[5] Questa seconda – o addirittura terza – rinascita di Federer iniziata nel 2014 e che ha portato a due finali consecutive a Wimbledon, soltanto agli occhi distratti può far credere che si tratti di un Roger vicino ai migliori livelli personali di sempre. L’apice, come detto è arrivato dal 2004 al 2007, mentre i risultati più recenti denotano la grandezza assoluta del giocatore in grado di rimanere competitivo con avversari più giovani, meno logori e più reattivi.
[6] L’espressione annus horribilis è relativa agli standard di Federer. Per quanto decisamente più negativa rispetto alle precedenti, Federer non ha subito il crollo di altri ex numeri 1, chiudendo l’annata al numero sei del ranking.

Federer è il GOAT? Questione di stile

La copertina del libro Roger Federer. Perchè è il più grande

Federer è il più grande di ogni epoca?


La domanda su chi sia il più grande giocatore di ogni epoca appassiona gli sportivi di ogni disciplina dalla notte dei tempi. Abbiamo osservato come nel tennis, l'interrogativo sul fatto che sia Federer il GOAT ha ormai origini antiche.
Ora, estrapoliamo un passaggio dal libro Roger Federer, perchè è il più grande , edito da Area 51 Publishing, soffermandoci su uno dei parametri pertinenti per stabilire chi sia il miglior giocatore di sempre: lo stile. Non si tratta ovviamente dell'unica discriminante e nell'ebook si analizzano altre quattro direttrici (vittorie, distacco dagli altri nel momento d'apice, continuità lungo la carriera e atteggiamento). Ma aspirare a tale titolo è anche questione di stile.
Ecco il paragrafo del libro:

Tra gli sport popolari e con un seguito di pubblico ampio in cinque continenti, il tennis è uno dei più nobili d’animo. Non ci sono recinzioni, non ci sono grate a dividere i tifosi, si mantiene un “sostanziale” contegno durante gli scambi per sciogliersi in un applauso alla conclusione del punto. Molto raro che un giocatore venga beccato, fischiato o insultato. Nulla a che vedere con il calcio dove l’offesa al rivale equivale alla norma e la dietrologia sugli arbitri è la prassi. Anzi, sono proprio i gesti di stizza dei giocatori a infastidire gli spettatori che mal digeriscono racchette sfasciate, proteste reiterate, esclamazioni poco oxfordiane. Quando un appassionato si affeziona a un campione, la pulsione di vittoria che trasferisce sul proprio beniamino non impedisce di ammirare il rivale.
Ma già in un ambiente per definizione così posato dove aleggia un’atmosfera da gentleman, Federer è riuscito a trascendere il proprio sport conquistando i favori di molti. Moltissimi. Praticamente di tutti[1].
Come mai? Certamente, vincere aiuta ad acquisire fan e simpatie, ma questo non basta a spiegare il seguito che accompagna il campione elvetico da anni, ad ogni latitudine e al di là delle generazioni.
La vera peculiarità di Federer è nello stile, in quel modo di giocare così riconoscibile sin dal primo sguardo che lo fa sembrare un esemplare unico al cospetto di tutti gli altri, una specie rara e da proteggere. Federer non è il primo tennista nella storia ad aver segnato un deciso punto di svolta sul piano estetico. Senza voler andare troppo indietro, basta pensare a quanto abbia inciso Bjorn Borg nell’evoluzione del gioco. Lo svedese rese probabilistico il gioco: togliere ogni svolazzo per puntare sulla solidità da fondo campo cambiando radicalmente l’impostazione dei colpi. Giocava il rovescio a due mani mostrandone l’efficacia (come detto, della purezza estetica se ne è sempre infischiato) e, soprattutto introdusse la rotazione top spin nel dritto. Non soltanto influenzò gli altri giocatori e quelli delle generazioni successive che si convinsero ad emularne il modello tecnico, ma diede slancio all’innovazione dei materiali. Il passaggio dai telai di legno a materiali più moderni (alluminio, grafite, ecc) accompagnò l’evoluzione nell’esecuzione dei colpi promossa dallo svedese rendendo quel tipo di gioco la norma. E parallelamente trasformò i tennisti da fini spadaccini che colpivano in punta di fioretto a lottatori che sfruttavano la resistenza atletica e fisica per sfiancare l’avversario fino a indurlo all’errore.
Con lo svedese il tennis ha voltato pagina anche se, per molti, dal verso sbagliato. Il gioco è senz’altro divenuto più omologato, meno propenso a favorire virtuosismi e variazioni tattiche. Tuttavia, è innegabile che ci sia un’era pre-Borg e un’era post-Borg.
Negli scacchi, una lunga epoca è stata definita “romantica” ed era caratterizzata dalla ricerca di mosse spettacolari, di attacchi spericolati che potessero catturare l’ammirazione e la meraviglia degli appassionati. Successivamente, il gioco è divenuto sempre più scientifico e legato a un preciso calcolo delle varianti; analogamente Borg ha portato razionalità in uno sport considerato creativo, umorale, psicologico e sorprendente. Fino all’avvento di Federer, molti giganti della racchetta si sono lamentati dell’appiattimento degli scambi, della difficoltà di trovare partite che non presentassero lo stesso canovaccio fatto di intensità, corsa e “picchiatori” da fondo campo[2]. Roger ha mostrato come i principi classici potessero essere rispolverati dalla soffitta, unendoli con la potenza e la cura della preparazione fisica tipiche della modernità. Federer è il più elegante nella conduzione della racchetta, compatto in ogni frangente, fluido nei movimenti, cristallino nel trovare la coordinazione, riconoscibile persino dal suono emesso dalle corde della racchetta. Non è un caso che unanimemente fotografi e operatori televisivi concordino su come lo svizzero sappia esaltare come nessuno slow motion e istantanee: una grazia misteriosa per le velocità del gioco attuale. Non soltanto fa esteticamente meglio quello che fanno gli altri, ma fa più cose.  Un po’ come avviene con gli All Blacks, l’epica nazionale di rugby neozelandese, in grado di interpretare cinque o sei modi diversi di giocare a seconda delle condizioni e degli avversari, Federer è l’unico tennista in circolazione in grado di alternare aggressioni di dritto, rovesci in top e in back, serve and volley e di prendere la rete con una risposta tagliata. Può conquistare direttamente l’iniziativa o indurre l’avversario a spingersi a rete con un rovescio tagliato dal rimbalzo pressoché nullo che sorprende il rivale a metà campo, sa attaccare in controtempo e sfruttare il contropiede girando il polso un attimo prima dell’impatto con la palla. Un Mozart della racchetta capace di operare una rivoluzione pacifica. Rispettoso del gusto antico nell’attingere al variegato repertorio della tradizione eppure moderno, quasi d’avanguardia anche quando riecheggia arabeschi che profumano d’antico. Nel calcio si è detto spesso che Zidane fosse trent’anni avanti per il suo modo di stare in campo: fisico da stopper e piedi da numero dieci, carisma da leader e fantasia in ogni giocata. La stessa metafora che nel basket viene impiegata per descrivere lo strapotere di LeBron James, il fenomeno in grado di giocare – e fare la differenza – in ognuna delle cinque posizioni sul parquet. Su Federer tale regola aurea vale ancor di più: sembra di un’altra dimensione, ma non si capisce se sia l’ultimo regalo di un’epoca antica o il prototipo di qualcosa che si osserverà in un futuro lontano.
E’ davvero ingrato cercare un punto simbolo che descriva il repertorio dello svizzero. David Wallace si era soffermato su un irreale passante di rovescio giocato contro Agassi, altri strabuzzano gli occhi riguardando su Youtube i tweener, ovvero il colpo giocato sotto le gambe con cui Roger ribalta lo scambio chiudendo la rincorsa dopo un lob dell’avversario; gli esteti ribadiscono come il suo gioco a rete sia da insegnare ai più piccoli. Ma a noi piace ricordare, anche per l’importanza contingente, il punto che valse il break decisivo nel quinto set della finale di Wimbledon 2007 con Rafael Nadal. Lo spagnolo aveva preso l’iniziativa e stava martellando sul lato sinistro di Federer come da piano partita. Gioca un lungo linea incisivo che sembra segnare definitivamente l’inerzia dello scambio quando Roger si inventa un rovescio in back affilato come la lama di un rasoio. La palla passa pochi millimetri sopra al nastro e sembra morire sull’erba. Contro qualunque altro giocatore, sarebbe punto diretto ma le risorse di Nadal sono infinite e l’iberico riesce ad organizzare un dignitosissimo appoggio nonostante la faccia della racchetta sia pressoché adagiata sul prato. La palla è sull’angolo sinistro di Roger che compie due saltelli a rapida frequenza per giocare il dritto anomalo, ovvero quello dalla parte di campo tradizionalmente riservata al rovescio. Il dritto anomalo di Federer è di per sé ancora più “anomalo” perché non prevede la sventagliata ad incrociare ma è una fiondata lungo linea con la traiettoria della palla che si alza e si abbassa con ondulazioni difficili da spiegare sul piano balistico. E’ un colpo senza domani: se non si chiude il punto si concede troppo spazio all’avversario. E se l’avversario è Nadal, il margine si riduce ulteriormente. Rafa conosce Federer e sa dove indirizzerà il dritto.
Parte un attimo prima. Non basta.
In quel colpo c’è tutto Federer: potenza, tecnica, precisione e inventiva. Ma ovviamente è soltanto un’istantanea, una manciata di polvere di stelle presa da un sacco capiente come mai se ne erano visti prima. Ciò che è impressionante è che in questi ultimi anni non soltanto Roger riesca a replicare prodezze viste e riviste, ma che addirittura regali nuovi colpi. Prendiamo il torneo di Cincinnati 2015. In semifinale con Murray tira fuori un dritto in chop che sembra traslato da un’altra epoca, di una grazia rinascimentale e letale come la più consueta staffilata. In finale con Djokovic l’impensabile: Roger scatta in avanti e risponde alla battuta dell’attuale numero uno al mondo appena un passo dopo la riga del servizio. Con un colpo da ping pong prende il tempo all’avversario e conquista un punto pesante nel tie break e nell’economia dell’intero match. Eloquente la reazione delle vittime di questi colpi d’estro che sembrano chiedersi: “Ma questo da dove diavolo proviene?” ed è bene ricordare che stiamo parlando di avversari che rappresentano a pieno titolo i migliori giocatori in circolazione. La spiegazione è più semplice di quanto sembri: Federer ama il gioco e ancora oggi quando ha la consapevolezza di aver realizzato un colpo di qualità, ha la stessa gioia di un ragazzino che scopre il proprio talento o di un’illusionista a cui riesce il trucco. Non è così importante valutare quanto concretamente la SABR (Sneak Attack By Roger) possa aggiungere ai manuali del gioco ma è straordinaria la tenacia nel voler ancora sperimentare nuove soluzioni.
Anche se “l’originale” è ancora in attività, è già partita la caccia al nuovo Federer più per riluttanza  all’evidenza di non vedere più certi ghirigori con la racchetta che per convinzione di poter trovare un epigono all’altezza.


Jose Raul Capablanca a 4 anni impegnato in una partita con il padre
E’ il destino dei fenomeni: lasciare un vuoto che gli appassionati cercano di colmare provando a ritrovare nei prìncipi qualcosa dei re. Nel calcio, da circa vent’anni in Argentina ogni ragazzino che sappia dare due calci a un pallone viene ribattezzato come “nuovo Maradona”; in Brasile avviene lo stesso da mezzo secolo alla ricerca del successore di Pelé. Nei college americani si cerca l’erede di Jordan, in Belgio i fanatici delle due ruote attendono la reincarnazione di Eddie Merckx, a Cuba da oltre ottant’anni stanno aspettando un genio della scacchiera come Jose Raul Capablanca[3]. Tuttavia, il tennis di Federer non è facilmente replicabile e interpretato da altri rischia persino di non essere redditizio. Prevede margini di errori minimi e una varietà del repertorio infinita. E se immaginiamo la costruzione di un tennista simile a quella di un edificio, mantenendo un approccio cinico e opportunista, viene da chiedersi se convenga concentrarsi su colpi raffinati ma che nell’arco di una partita possono essere eseguiti poche volte (talvolta mai) piuttosto che sul consolidamento dei fondamentali e il rafforzamento della battuta che garantisce punti sicuri e senza fatica. Non è un caso che molti tennisti della nuova generazione siano caratterizzati dall’altezza e da un servizio devastante per compensare l’assenza di una morbidezza nel tocco tale da permettere volée o drop. Per molti, Federer in tal senso rimane un ideale, un asintoto impossibile da toccare; più che impegnarsi concretamente per raggiungerlo, se ne parla con incanto: “Mi piacerebbe possedere il suo repertorio per avere l’imbarazzo della scelta su cosa fare in campo”. Non è un caso che chi più concretamente ha provato a ricalcarne il gioco, il bulgaro Grigor Dimitrov, abbia ammesso che le pressioni della stampa che lo ha etichettato come erede dell’elvetico si siano rivelate più un fardello d’ostacolo alla crescita che una spinta verso la maturazione tecnica. Ma è l’aspettativa iniziale a essere fuorviante: una copia di Roger Federer non può che essere … una brutta copia.



[1] Uno dei più pervicaci e colti critici di Federer è Andrea Scanzi, che lo ha bollato come algido e freddo rimproverandogli di aver abbandonato gli eccessi giovanili. I suoi seguaci sono etichettati come “federasti” e assuefatti a parlare bene di Roger al punto da non ammettere il confronto. Eppure, è lo stesso Scanzi dopo la finale di Wimbledon del 2014 persa con Djokovic a riproporre elogi per un Federer, tornato – a suo modo di vedere – libero dalla stessa aura regale che lo ha accompagnato per un decennio.
[2] Come Jim Courier, per una breve parentesi numero uno del ranking e definito da Rino Tommasi “un giocatore di baseball prestato al ring” per l’impugnatura della racchetta e la tecnica nel colpire la palla non esattamente da manuale.
[3] L’ex campione del mondo Emanuel Lasker disse: “Ho conosciuto tanti campioni di scacchi ma un solo genio e risponde al nome di José Raul Capablanca”