mercoledì 13 luglio 2016

Federer , senza i rivali non sarebbe stato il Goat


Federer : tanti nemici, tanto onore


Ma c’è anche un altro elemento a dare un’anima alle asettiche statistiche sui successi di Roger Federer . In qualsiasi disciplina, il coefficiente di difficoltà può variare in virtù della qualità dei rivali che si fronteggiano. È abbastanza evidente come se si ha la “fortuna” di inserirsi in un momento di generale appiattimento, le probabilità di fare incetta di trofei crescano. Per fare un noto esempio, straordinari ciclisti che si sono trovati a competere negli anni ruggenti di Coppi o Bartali, hanno raccolto meno successi di quanti ne avrebbero ottenuti se non si fossero ritrovati la strada sbarrata dai due fuoriclasse. E sia Coppi sia Bartali, liberi dalla reciproca ingerenza, avrebbero ritoccato significativamente la loro bacheca di allori. Analogamente, negli anni ’60 e ’70 Felice Gimondi si vide respingere più volte dal “cannibale” Eddie Merckx, dandoci però una lezione su come andrebbe vissuta la rivalità contro un mostro sacro: “Se non ci fosse stato Merckx avrei vinto molto di più. Ma sarei anche stato meno orgoglioso di quello che ho fatto”.
Anche nell’atletica o nel nuoto abbiamo numerosi esempi di specialità che appaiono ferme per interi lustri e improvvisamente trovano protagonisti che si contendono il trono polverizzando ripetutamente i record precedenti. Il tennis ha un andamento ciclico: epoche d’oro e fasi di stasi, ere caratterizzate da duelli epici intramezzate da momenti interlocutori.
Federer si è consacrato col successo su Pete Sampras sul campo centrale di Wimbledon nel 2001, ma l’americano – ormai a fine carriera – non può essere certo considerato il vero rivale dello svizzero perché appartenenti a generazioni diverse. Al contrario, ha pochi confronti nella storia una rivalità così accesa come quella con Rafael Nadal, due campioni così opposti da apparire complementari. Mancino contro destrorso, potenza contro eleganza, rotazioni accentuate come mai si erano viste prima contro stile classico. Tratti in comune? Classe e predisposizione alla vittoria. Se non ci fosse stato Nadal , probabilmente Federer avrebbe raggiunto i 20 titoli dello Slam. Ma vale anche l’inverso: senza lo svizzero, Rafa avrebbe avuto campo libero per anni .Abbiamo detto che un duello così rusticano ha avuto pochi eguali, ma alla storia manca un pezzo che di nome fa Novak e di cognome Djokovic. Tre fuoriclasse assoluti capaci di relegare tutti gli altri in un angolino per anni: guardiani delle sacre porte dei tornei dello Slam che prima si preoccupavano di tenere lontani la concorrenza per poi giocarsi tra loro i titoli. Prendendo in esame il decennio 2004-2013, ci accorgiamo di come su 40 prove dello Slam, ben 35 (quasi il 90% !!) si siano concluse con i trofei alzati al cielo da uno dei tre dominatori di questo scorcio di nuovo millennio (nella tabella in maiuscolo i “corsari” che hanno interrotto l’egemonia).



Australian Open Roland Garros Wimbledon Us Open  
2004 Roger Federer GASTON GAUDIO Roger Federer Roger Federer  
2005 MARAT SAFIN Rafael Nadal Roger Federer Roger Federer  
2006 Roger Federer Rafael Nadal Roger Federer Roger Federer  
2007 Roger Federer Rafael Nadal Roger Federer Roger Federer  
2008 Novak Djokovic Rafael Nadal Rafael Nadal Roger Federer  
2009 Rafael Nadal Roger Federer Roger Federer J. M. DEL POTRO  
2010 Roger Federer Rafael Nadal Rafael Nadal Rafael Nadal  
2011 Novak Djokovic Rafael Nadal Novak Djokovic Novak Djokovic  
2012 Novak Djokovic Rafael Nadal Roger Federer ANDY MURRAY  
2013 Novak Djokovic Rafael Nadal ANDY MURRAY Rafael Nadal

 La formula fab four per quanto accattivante sul piano mediatico, è più discutibile. E’ senz’altro vero che la continuità del britannico Andy Murray sia encomiabile, ma il suo score impallidisce al cospetto dei tre “cannibali” della racchetta. In fondo, tre giganti in contemporanea bastano e avanzano per costituire un’anomalia e per sostenere che i successi dello svizzero siano stati ottenuti in un’epoca in cui la concorrenza si è dimostrata di altissimo livello.
Anzi, non sorprende che Federer consideri uno dei rimpianti maggiori della propria carriera quello di non aver “capito” da giovanissimo dove sarebbe potuto arrivare proprio perché nel biennio 2001-2003 (dalla rivelazione al primo trionfo londinese) avrebbe probabilmente potuto vincere molto sfruttando anche la fase interlocutoria che accompagnava il declino dello stesso Sampras e di Agassi.


Federer, perchè è il più grande


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Federer , l'atteggiamento del GOAT


Federer , la differenza tra campioni e vincenti

Per Arthur Ashe i vincenti sono quelli che riempiono la bacheca di trofei ma i campioni sono quelli che lasciano lo sport in un modo diverso e migliore di come lo hanno trovato. Se è vero questo assunto, dobbiamo riconoscere a Roger Federer di essere stato il più vincente dei vincenti e il più campione dei campioni.
Quanto si è speculato sull’immagine del fuoriclasse dentro e fuori dal campo? Non vogliamo essere buonisti di facciata e quindi non vogliamo sminuire la grandezza di quegli atleti che hanno raggiunti picchi eccelsi nonostante comportamenti tutt’altro che irreprensibili. Anzi, da un punto di vista strettamente letterario, chi scrive di sport non può che essere grato alle figure un po’ stereotipate di “campioni maledetti” o di esemplari rappresentanti della fortunata formula “genio e sregolatezza”. Sono stati scritti libri per raccontare l’ira funesta che esplodeva in McEnroe per una decisione arbitrale non condivisa che lo portava nel migliore dei casi ad urlare con sdegno “You ain’t be serious!”, “Non puoi dire sul serio!”. Le riviste di gossip hanno celebrato le conquiste fuori dal campo di Safin decantando il suo harem personale. E Nastase ha istituzionalizzato le manovre di disturbo del rivale miscelando sapientemente improperi, perdite di tempo, sceneggiate, moine da clown e finte polemiche con i giudici di linea. Insomma, senza le sfuriate di McEnroe, l’epopea di Safin e delle safinette e l’istrionismo di Nastase, ci saremmo divertiti di meno, ma viene da chiedersi quanti titoli in più avrebbero conquistato i nostri eroi con un comportamento più equilibrato. Non basta essere “bravi ragazzi” per aspirare al GOAT, ma l’atteggiamento è un parametro che non possiamo trascurare ai fini della nostra analisi per due ragioni.
Roger Federer , la pagina che spiega perchè è il Goat
Innanzi tutto, allenarsi regolarmente, limare il proprio ego quando sconfina nella presunzione, evitare di litigare con arbitri, giudici di linea, spettatori, supervisor, avversari, con il proprio allenatore e con i coach degli avversari, aiuta a vincere di più. E allunga la carriera. Inoltre, chi si candida a essere il migliore di sempre deve, a nostro avviso,  assecondare l’assioma di Arthur Ashe e contribuire alla crescita, alla diffusione e all’interesse per il gioco. Federer è considerato pressoché unanimemente il miglior testimonial possibile del tennis: elegante e straordinariamente spettacolare in campo, equilibrato e posato fuori. Non vogliamo cavalcare l’onda mediatica che ne plaude le iniziative benefiche e umanitarie o i risultati raggiunti dalla sua fondazione con iperboli o superlativi. Appare in linea con la saldezza caratteriale il destinare energie e denaro per finalità filantropiche: non si tratta di atti eroici, ma dell’umanissima soddisfazione di poter sfruttare la propria immagine per aiutare gli altri avendone la possibilità. E’ innegabile, però, che Federer abbia elevato l’immagine del tennis, rinvigorendo l’eco mediatica relativa a questo strano sport in cui si corre con un aggeggio in mano inseguendo una pallina, contribuendo ad associare il tennis ad un universo di valori positivi. Non si è limitato a donare soldi, ma ha viaggiato per conoscere da vicino le realtà che supportava; non si è mai vergognato dei ricavi commerciali, pubblicitari e delle decine di milioni di dollari vinti nei tornei sottolineando di considerarsi fortunato e grato ai giocatori delle generazioni precedenti che avevano messo le basi per far sì che ciò fosse possibile.
Uno dei campioni più amati di sempre – se non il più amato di sempre – e uno dei meno odiati di sempre, probabilmente il meno odiato di sempre: non c’è un solo rivale che abbia speso per lui parole al veleno, non c’è un solo addetto al campo, un medico, un organizzatore o un raccattapalle che non ne abbia apprezzato la cordialità e la semplicità di salutare sempre. A telecamere spente, soprattutto.
Andy Roddick glielo disse una volta: “Mi piacerebbe odiarti a morte, ma sei troppo una brava persona”. Curzio Maltese ha spiegato in poche righe le ragioni del suo consenso plebiscitario a tutte le latitudini: il più poetico, il più grande d'ogni tempo e d'ogni sport, «più di Michael Jordan, Muhammad Ali o Maradona» (parola di David Foster Wallace), il più bello e bravo e buono ed elegante e onesto. Quello che mai uno scatto d'ira, mai una polemica o un capriccio, mai un versaccio o una sbuffo da bisonte alla battuta. Quello che è ambasciatore dell'Unicef e ha sempre un pensiero e un'opera buona per terremotati, vittime di tsunami e bambini abbandonati. Quello adorato dalle donne, ma rigorosamente monogamo e padre di famiglia. Quello tanto cattolico e troppo ecumenico, che piace alle nonne perché è un vero signore e alle teenagers perché è tanto fico, al Papa e a Obama, a destra e a sinistra, a Nord e a Sud, tanto viene dalla Svizzera, che è neutrale”
È, però, giusto ricordare che il Federer regale, rispettoso del proprio stile e degli avversari, è il risultato di un percorso. Da giovane Roger era annotato dagli osservatori come uno scapigliato irascibile, incapace di tollerare i propri errori e la sconfitta. E all’arrivo sul circuito professionistico, non sono mancate racchette sfasciate (da bambino ne ha distrutta più di una a casa della nonna e durante gli stage giovanili della federazione elvetica), scatti di rabbia, gesti di nervosismo. Proprio dopo uno di questi, Federer cominciò a chiedersi se fosse quella l’immagine che voleva dare di sé e provò imbarazzo, se non vergogna. Capì che reazioni così scomposte non lo aiutavano: la concentrazione se ne andava e con essa i match. E ha iniziato una fase zen:  niente bizze, niente polemiche, ma anche pochi risultati. Roger si preoccupava più di non dar luogo a sceneggiate che a mantenere la grinta necessaria per portare a casa il match. Il Federer che tutti conosciamo è soltanto quello della versione caratteriale 3.0 : un campione che non si vergogna di mostrare le proprie emozioni (lacrime hanno seguito le vittorie più luminose e le sconfitte più cocenti) ma non inveisce a vuoto. Rimane aggrappato al match anche quando il punteggio non sorride, trasforma il nervosismo in energia positiva. Ed è forse questo l’aspetto più didattico di Federer: non si migliorano soltanto dritti e rovesci ma anche il proprio atteggiamento durante la partita. Qualcuno ha detto che Federer si è snaturato divenendo calcolatore da ribelle, addirittura irritante nel suo essere sempre celebrato e ammirato.
“Ah, quanto è stato lungo, mellifluo e – in buona sostanza – palloso il suo quinquennio (o giù di lì) dittatoriale. Neanche un piano sequenza di mezz'ora di Abbas Kiarostami avrebbe devastato così in profondità gli zebedei di tutti coloro che non si chiamano Mirka e non appartengono alla tribù fondamentalista dei Federasti Piangenti. Dalla fine del 2003 alla metà del 2008, fatto salvo Nadal e un Safin occasionale, giornali e tivù erano un coro unanime di peana politicamente corretti: Quanto è bello Federer, quanto è bravo, quanto è garbato, quanto è imbattibile. "Il più grande di sempre", bla bla bla. L'opposizione era negata, gli avversari non esistevano”. Musica e parole sempre di Andrea Scanzi, a cui verrebbe da chiedere da chi fosse negata l’opposizione dato che ha – con pieno diritto – potuto scrivere e riscrivere di Federer per anni. L’ipotesi di un complotto planetario pro Federer appare fragile. Chi lo avrebbe orchestrato? Poteri occulti? Il Gruppo Bildeberg? Foschi assessori regionali del Molise? I cospiratori dei cerchi nei campi di grano? O i fautori delle scie chimiche?  Quanto meno, rimane il dubbio che molti abbiano simpatizzato per Roger semplicemente perché piaceva loro vederlo giocare.
Ha, invece, ragione Scanzi quando sostiene che spesso la rabbia sia una componente che rende leggendari i campioni e la citazione su Mohammed Ali e Ayrton Senna come simboli di fuoriclasse in grado di ispirare libri, film e documentari è pertinente. La rabbia è un sentimento rivoluzionario che parte da una brama interiore per emozionare all’esterno, genera un riscatto personale contro un’ingiustizia che induci gli altri a identificarsi e ad emulare il coraggio dei beniamini. Quando uno sportivo riesce  a riscrivere le pagine della Storia con la S maiuscola, accelera il cammino verso il progresso. Dalla protesta di Mohammed Alì al pugno alzato al cielo di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico, dal gol di Sindelaar come schiaffo ai gerarchi nazisti all’amicizia tra Jessie Owens e Lutz Long: solo per ricordare alcune istantanee per cui il mondo deve essere grato allo sport.
Tuttavia, la rabbia per sprigionare la propria forza senza implodere ha bisogno di un’unica condizione: deve essere autentica. Non si può rimanere indifferenti verso chi ha rischiato in prima battuta per protestare contro il razzismo o verso chi per anni ha subito per anni vessazioni familiari trovando nello sport la propria rivincita con la vita. Ma se uno come Federer, ha avuto un’adolescenza serena in cui sognava di diventare un tennista professionista e si è ritrovato a vincere più di tutti, che motivo ha di lasciarsi travolgere dall’ira, di prendersela con un destino che gli ha regalato tutto ciò che desiderava?
Roger Federer non si è venduto sull’altare dell’invincibilità rinunciando ai riverberi più folli della sua anima, è semplicemente maturato per raggiungere gli obiettivi a cui aspirava. Agli uomini di successo capita spesso.


Federer e l'eterna domanda su chi sia il migliore di sempre


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Federer , lo stile per arrivare all'arte del Goat

Federer , il Goat come questione di stile


Non c’è arte dove non vi è stile
                                  (Oscar Wilde)

Roger Federer Goat
Tra gli sport popolari e con un seguito di pubblico ampio in cinque continenti, il tennis è uno dei più nobili d’animo. Non ci sono recinzioni, non ci sono grate a dividere i tifosi, si mantiene un “sostanziale” contegno durante gli scambi per sciogliersi in un applauso alla conclusione del punto. Molto raro che un giocatore venga beccato, fischiato o insultato. Nulla a che vedere con il calcio dove l’offesa al rivale equivale alla norma e la dietrologia sugli arbitri è la prassi. Anzi, sono proprio i gesti di stizza dei giocatori a infastidire gli spettatori che mal digeriscono racchette sfasciate, proteste reiterate, esclamazioni poco oxfordiane. Quando un appassionato si affeziona a un campione, la pulsione di vittoria che trasferisce sul proprio beniamino non impedisce di ammirare il rivale.
Ma già in un ambiente per definizione così posato dove aleggia un’atmosfera da gentleman, Federer è riuscito a trascendere il proprio sport conquistando i favori di molti. Moltissimi. Praticamente di tutti.
Come mai? Certamente, vincere aiuta ad acquisire fan e simpatie, ma questo non basta a spiegare il seguito che accompagna il campione elvetico da anni, ad ogni latitudine e al di là delle generazioni.
La vera peculiarità di Federer è nello stile, in quel modo di giocare così riconoscibile sin dal primo sguardo che lo fa sembrare un esemplare unico al cospetto di tutti gli altri, una specie rara e da proteggere. Federer non è il primo tennista nella storia ad aver segnato un deciso punto di svolta sul piano estetico. Senza voler andare troppo indietro, basta pensare a quanto abbia inciso Bjorn Borg nell’evoluzione del gioco. Lo svedese rese probabilistico il gioco: togliere ogni svolazzo per puntare sulla solidità da fondo campo cambiando radicalmente l’impostazione dei colpi. Giocava il rovescio a due mani mostrandone l’efficacia (come detto, della purezza estetica se ne è sempre infischiato) e, soprattutto introdusse la rotazione top spin nel dritto. Non soltanto influenzò gli altri giocatori e quelli delle generazioni successive che si convinsero ad emularne il modello tecnico, ma diede slancio all’innovazione dei materiali. Il passaggio dai telai di legno a materiali più moderni (alluminio, grafite, ecc) accompagnò l’evoluzione nell’esecuzione dei colpi promossa dallo svedese rendendo quel tipo di gioco la norma. E parallelamente trasformò i tennisti da fini spadaccini che colpivano in punta di fioretto a lottatori che sfruttavano la resistenza atletica e fisica per sfiancare l’avversario fino a indurlo all’errore.
Con lo svedese il tennis ha voltato pagina anche se, per molti, dal verso sbagliato. Il gioco è senz’altro divenuto più omologato, meno propenso a favorire virtuosismi e variazioni tattiche. Tuttavia, è innegabile che ci sia un’era pre-Borg e un’era post-Borg.
Negli scacchi, una lunga epoca è stata definita “romantica” ed era caratterizzata dalla ricerca di mosse spettacolari, di attacchi spericolati che potessero catturare l’ammirazione e la meraviglia degli appassionati. Successivamente, il gioco è divenuto sempre più scientifico e legato a un preciso calcolo delle varianti; analogamente Borg ha portato razionalità in uno sport considerato creativo, umorale, psicologico e sorprendente. Fino all’avvento di Federer, molti giganti della racchetta si sono lamentati dell’appiattimento degli scambi, della difficoltà di trovare partite che non presentassero lo stesso canovaccio fatto di intensità, corsa e “picchiatori” da fondo campo. Roger ha mostrato come i principi classici potessero essere rispolverati dalla soffitta, unendoli con la potenza e la cura della preparazione fisica tipiche della modernità. Federer è il più elegante nella conduzione della racchetta, compatto in ogni frangente, fluido nei movimenti, cristallino nel trovare la coordinazione, riconoscibile persino dal suono emesso dalle corde della racchetta. Non è un caso che unanimemente fotografi e operatori televisivi concordino su come lo svizzero sappia esaltare come nessuno slow motion e istantanee: una grazia misteriosa per le velocità del gioco attuale. Non soltanto fa esteticamente meglio quello che fanno gli altri, ma fa più cose.  Un po’ come avviene con gli All Blacks, l’epica nazionale di rugby neozelandese, in grado di interpretare cinque o sei modi diversi di giocare a seconda delle condizioni e degli avversari, Federer è l’unico tennista in circolazione in grado di alternare aggressioni di dritto, rovesci in top e in back, serve and volley e di prendere la rete con una risposta tagliata. Può conquistare direttamente l’iniziativa o indurre l’avversario a spingersi a rete con un rovescio tagliato dal rimbalzo pressoché nullo che sorprende il rivale a metà campo, sa attaccare in controtempo e sfruttare il contropiede girando il polso un attimo prima dell’impatto con la palla. Un Mozart della racchetta capace di operare una rivoluzione pacifica. Rispettoso del gusto antico nell’attingere al variegato repertorio della tradizione eppure moderno, quasi d’avanguardia anche quando riecheggia arabeschi che profumano d’antico. Nel calcio si è detto spesso che Zidane fosse trent’anni avanti per il suo modo di stare in campo: fisico da stopper e piedi da numero dieci, carisma da leader e fantasia in ogni giocata. La stessa metafora che nel basket viene impiegata per descrivere lo strapotere di LeBron James, il fenomeno in grado di giocare – e fare la differenza – in ognuna delle cinque posizioni sul parquet. Su Federer tale regola aurea vale ancor di più: sembra di un’altra dimensione, ma non si capisce se sia l’ultimo regalo di un’epoca antica o il prototipo di qualcosa che si osserverà in un futuro lontano.
E’ davvero ingrato cercare un punto simbolo che descriva il repertorio dello svizzero. David Wallace si era soffermato su un irreale passante di rovescio giocato contro Agassi, altri strabuzzano gli occhi riguardando su Youtube i tweener, ovvero il colpo giocato sotto le gambe con cui Roger ribalta lo scambio chiudendo la rincorsa dopo un lob dell’avversario; gli esteti ribadiscono come il suo gioco a rete sia da insegnare ai più piccoli. Ma a noi piace ricordare, anche per l’importanza contingente, il punto che valse il break decisivo nel quinto set della finale di Wimbledon 2007 con Rafael Nadal. Lo spagnolo aveva preso l’iniziativa e stava martellando sul lato sinistro di Federer come da piano partita. Gioca un lungo linea incisivo che sembra segnare definitivamente l’inerzia dello scambio quando Roger si inventa un rovescio in back affilato come la lama di un rasoio. La palla passa pochi millimetri sopra al nastro e sembra morire sull’erba. Contro qualunque altro giocatore, sarebbe punto diretto ma le risorse di Nadal sono infinite e l’iberico riesce ad organizzare un dignitosissimo appoggio nonostante la faccia della racchetta sia pressoché adagiata sul prato. La palla è sull’angolo sinistro di Roger che compie due saltelli a rapida frequenza per giocare il dritto anomalo, ovvero quello dalla parte di campo tradizionalmente riservata al rovescio. Il dritto anomalo di Federer è di per sé ancora più “anomalo” perché non prevede la sventagliata ad incrociare ma è una fiondata lungo linea con la traiettoria della palla che si alza e si abbassa con ondulazioni difficili da spiegare sul piano balistico. E’ un colpo senza domani: se non si chiude il punto si concede troppo spazio all’avversario. E se l’avversario è Nadal, il margine si riduce ulteriormente. Rafa conosce Federer e sa dove indirizzerà il dritto.
Parte un attimo prima. Non basta.
In quel colpo c’è tutto Federer: potenza, tecnica, precisione e inventiva. Ma ovviamente è soltanto un’istantanea, una manciata di polvere di stelle presa da un sacco capiente come mai se ne erano visti prima. Ciò che è impressionante è che in questi ultimi anni non soltanto Roger riesca a replicare prodezze viste e riviste, ma che addirittura regali nuovi colpi. Prendiamo il torneo di Cincinnati 2015. In semifinale con Murray tira fuori un dritto in chop che sembra traslato da un’altra epoca, di una grazia rinascimentale e letale come la più consueta staffilata. In finale con Djokovic l’impensabile: Roger scatta in avanti e risponde alla battuta dell’attuale numero uno al mondo appena un passo dopo la riga del servizio. Con un colpo da ping pong prende il tempo all’avversario e conquista un punto pesante nel tie break e nell’economia dell’intero match. Eloquente la reazione delle vittime di questi colpi d’estro che sembrano chiedersi: “Ma questo da dove diavolo proviene?” ed è bene ricordare che stiamo parlando di avversari che rappresentano a pieno titolo i migliori giocatori in circolazione. La spiegazione è più semplice di quanto sembri: Federer ama il gioco e ancora oggi quando ha la consapevolezza di aver realizzato un colpo di qualità, ha la stessa gioia di un ragazzino che scopre il proprio talento o di un’illusionista a cui riesce il trucco. Non è così importante valutare quanto concretamente la SABR (Sneak Attack By Roger) possa aggiungere ai manuali del gioco ma è straordinaria la tenacia nel voler ancora sperimentare nuove soluzioni.
Anche se “l’originale” è ancora in attività, è già partita la caccia al nuovo Federer più per riluttanza  all’evidenza di non vedere più certi ghirigori con la racchetta che per convinzione di poter trovare un epigono all’altezza.

 E’ il destino dei fenomeni: lasciare un vuoto che gli appassionati cercano di colmare provando a ritrovare nei prìncipi qualcosa dei re. Nel calcio, da circa vent’anni in Argentina ogni ragazzino che sappia dare due calci a un pallone viene ribattezzato come “nuovo Maradona”; in Brasile avviene lo stesso da mezzo secolo alla ricerca del successore di Pelé. Nei college americani si cerca l’erede di Jordan, in Belgio i fanatici delle due ruote attendono la reincarnazione di Eddie Merckx, a Cuba da oltre ottant’anni stanno aspettando un genio della scacchiera come Jose Raul Capablanca. Tuttavia, il tennis di Federer non è facilmente replicabile e interpretato da altri rischia persino di non essere redditizio. Prevede margini di errori minimi e una varietà del repertorio infinita. E se immaginiamo la costruzione di un tennista simile a quella di un edificio, mantenendo un approccio cinico e opportunista, viene da chiedersi se convenga concentrarsi su colpi raffinati ma che nell’arco di una partita possono essere eseguiti poche volte (talvolta mai) piuttosto che sul consolidamento dei fondamentali e il rafforzamento della battuta che garantisce punti sicuri e senza fatica. Non è un caso che molti tennisti della nuova generazioni siano caratterizzati dall’altezza e da un servizio devastante per compensare l’assenza di una morbidezza nel tocco tale da permettere volée o drop. Per molti, Federer in tal senso rimane un ideale, un asintoto impossibile da toccare; più che impegnarsi concretamente per raggiungerlo, se ne parla con incanto: “Mi piacerebbe possedere il suo repertorio per avere l’imbarazzo della scelta su cosa fare in campo”. Non è un caso che chi più concretamente ha provato a ricalcarne il gioco, il bulgaro Grigor Dimitrov, abbia ammesso che le pressioni della stampa che lo ha etichettato come erede dell’elvetico si siano rivelate più un fardello d’ostacolo alla crescita che una spinta verso la maturazione tecnica. Ma è l’aspettativa iniziale a essere fuorviante: una copia di Roger Federer non può che essere … una brutta copia.


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martedì 12 luglio 2016

La copertina del libro Roger Federer perchè è il più grande

Roger Federer , cosa dicono di lui gli altri


La reputazione di un uomo è come la sua ombra: gigantesca quando lo precede, minuscola quando lo segue diceva Talleyrand ammonendo sull'importanza di non confondere causa ed effetto

Abbiamo impostato il libro sottolineando come i fatti abbiano maggior rilevanza delle opinioni: i primi sono oggettivi e documentati, le seconde contengono in sé il vulnus dell’arbitrarietà. Inoltre, come sottolineava uno dei più grandi storici del Novecento, Marc Bloch, le parole dei testimoni possono sempre essere inficiate dall’emozione, dall’interesse, dal legame o semplicemente dalla mancanza di precisione. Per esempio, nell’imminenza di un disastro naturale, le persone direttamente interessate possono in assoluta buona fede ingigantire la portata del fenomeno o omettere dettagli perché condizionati dall’enfasi del momento. E quanti annali, resoconti, testi su imperatori, re e condottieri, uomini di potere e politici, sono stati, invece, volutamente menzogneri perché scritti con il preciso intento di idealizzare l’immagine del protagonista? E aggiungiamoci che la storia è materia viva e che va letta attraverso il filtro della nostra sensibilità: normale quindi che l’ultimo fotogramma ci appaia più nitido rispetto a quelli più lontani nel tempo.
Tornando al tennis, non possiamo quindi negare che le imprese di Federer ci appaiano ancora più grandi perché fresche ai nostri occhi e che chi se lo è trovato dall’altra parte della rete spesso nei commenti abbia sfiorato l’adulazione. Ma con tutte le attenzioni e le cautele del caso, è assolutamente impressionante l’unanimità di preferenze che raccoglie lo svizzero. Non soltanto tra i suoi rivali, ma anche tra tutti i giganti del passato. Insomma, se il GOAT della racchetta fosse eletto in una democratica assemblea in cui sono ammessi soltanto i candidati capaci di scrivere le pagine più epiche della storia del tennis, Roger Federer vincerebbe in modo plebiscitario.
Abbiamo diviso i commenti tra coloro che lo hanno affrontato direttamente e coloro che per età e per qualità possono permettersi paragoni con i grandi delle epoche precedenti

 I campioni di oggi cosa pensano di Federer?

Io non penso che uno possa giocare sempre – o anche solo una volta – toccando la perfezione. Soltanto Federer può. (Novak Djokovic)

Io posso piangere come Roger. Peccato che non possa giocare come lui (Andy Murray dopo la sconfitta in finale negli Australian Open 2010)

Cosa bisogna fare per batterlo? Forse dovreste chiederlo a un altro (Gaston Gaudio dopo una sconfitta per 6-0,6-0 contro Federer)
Quando è al 100% gioca in un’altra serie. E’ il migliore di sempre. Se qualcuno pensa che io sia meglio di Federer, non capisce nulla di tennis. (Rafael Nadal)
È una persona reale. Fuori dal campo non sta cercando di essere qualcuno. Se lo incontri al McDonald's e non sai chi sia, non ti aspetteresti mai che si tratta di uno dei migliori atleti mondo (Andy Roddick)

Quante possibilità ho di vincere il torneo? Le stesse che hanno tutti i giocatori che non si chiamano Roger (Andy Roddick)

Sono nei primi cinque al mondo, ma questo non significa che sia vicino a Roger (Ivan Ljubicic nel 2006)
Roger è un mago (Marat Safin)
Non ho mai battuto Federer, è troppo per me. Ma magari quando lo affronterò nel Senior Tour… (David Ferrer, ex numero due del mondo, commentando l’inquietante conteggio negli scontri diretti con Federer: 0-16)

Chi lo conosce bene cosa pensa di Federer

C’è un ragazzo che ha vinto tutto e che offre da bere ai fotografi e che ringrazia i cronisti che lo seguono in conferenza stampa. (Rene Stauffer , giornalista sportivo svizzero)

Sta creando in modo che ogni punto sia fatto come dovrebbe essere fatto (Jakob Hlasek, ex allenatore della squadra svizzera di Davis)
E’ cittadino del mondo. Gli piace andare in Francia, viaggiare in Inghilterra, stare in Germania, visitare Rotterdam o Stoccolma. Si adatta a ogni ambiente, non si preoccupa di ciò che non può controllare e pensa: “Giochiamo” (Paul Annacone , ex allenatore di Federer)

Ricordo che veniva castigato quando lanciava la racchetta o perdeva il suo self-control. Alle sette di mattina, con un freddo da lupi, doveva recarsi ai campi di tennis della federazione. Con una macchina puliva le macchie gialle lasciate dalle palline sulla superficie (Paul Dorochenko, coach del Federer teenager)

Aveva già accettato l'idea di dover dare più degli altri. Non ricordo una volta che ho dovuto spingerlo per allenarlo: è così regolare nell'impegno, è così convinto che il tennis è una filosofia, è la sua vita, non un lavoro. E lo fa con gioia, insieme a Mirka, la compagna ideale, che ha pure giocato a tennis (Pierre Paganini, preparatore atletico di Federer)

Roger gioca con leggerezza, senza le malinconie di Pete, talmente stressato dal pensiero di conquistare Parigi che accoglieva come una liberazione le sue eliminazioni nei primi turni. Roger è un perfezionista, come Schumacher e non gli piace scendere sotto un certo livello Roger è solare. Non ha i cali d'umore di Sampras e lega con tutti i suoi colleghi. Se è Schumacher nel perfezionismo, è Maradona nei rapporti umani. Tutti gli riconoscono, oltre all'immensa classe, anche umanità, gentilezza dei modi, assenza di arroganza. Caratteristiche che non si conquistano con l'allenamento, ma con l'educazione (Roberto Perrone)
Il momento cruciale della sua carriera credo sia stato all'inizio del 2004. Dopo avere vinto a Wimbledon, nel 2003 si è aggiudicato il Tennis Master Cup e nel 2004 gli Australian Open. A quel punto, era diventato il numero uno. Quello è stato per lui un istante di suprema liberazione. In quel momento dichiarò che avrebbe anche potuto smettere di giocare, perché aveva ottenuto tutto quello che desiderava. Ogni cosa accaduta in seguito è stata come un bonus per lui (Rene Stauffer)


 I giganti del passato cosa pensano di Roger Federer


E’ incredibile vedere i colpi che riesce a fare dalle posizioni più impossibili. Sì, è lui il migliore di sempre (Rod Laver)
Per me non ci sono dubbi che sia lui il più grande di sempre. Quello che ha fatto e che continua a fare non ha eguali (Bjorn Borg)
In un’epoca di specialisti, puoi essere uno specialista dei campi in erba o uno specialista di quelli in cemento o uno specialista della terra rossa o degli impianti indoor. Oppure sei Roger Federer. (Jimmy Connors)

Noi abbiamo un ragazzo che viene dalla Svizzera che gioca in un modo che non abbiamo mai visto prima. Quanto siamo fortunati a poterlo guardare? (Boris Becker)
Per me è il giocatore più bello da vedere di sempre. Ho visto Laver, Sampras, Borg, Connors e anche me. Ma lui ha qualcosa in più di tutti. (John McEnroe)
Be', credo che quando guardo Roger, voglio dire, io sono un suo fan. Sono un fan di come lui gioca, che dire di lui... È un uomo di classe dentro e fuori dal campo. È divertente da guardare. Per non parlare della sua abilità atletica, di ciò che è capace di fare in corsa. Può battere ogni record tennistico lì fuori e lo farà (Pete Sampras)
Vorrei essere nelle sue scarpe per un giorno per capire cosa si prova a giocare in quel modo (Mats Wilander, vincitore di sei titoli del Grand Slam)

Penso che Don Budge fosse straordinario e che Hoad e Gonzales potessero toccare picchi eccezionali. Ma non ho mai visto nessuno giocare a tennis come Federer: è incredibile la ricchezza del suo repertorio. (Jack Kramer)
E’ capace di realizzare colpi che gli altri non sono neanche in grado di pensare (Ivan Lendl)
Contro tutti gli altri c’era qualcosa che potessi fare. Magari non esattamente un punto debole ma un aspetto del gioco in cui sapevi che avevi le tue chance. Con Federer no: non c’è nessuna zona di sicurezza, non c’è un’area in cui spostare lo scontro senza finire sotto. E di giocatori forti ne ho visti e affrontati tanti (Andrè Agassi)

Chi ama il tennis non può non innamorarsi del suo modo di giocare, di stare in campo. Gioca come tutti i campioni del passato avrebbero voluto giocare, facendo cose impensabili con una grazia che non si era mai vista prima. (Billie Jean King)

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Federer moments

FEDERER MOMENTS


La copertina del libero Federer, perchè è il più grande
L’espressione Federer moments è stata coniata da David Foster Wallace per indicare gli attimi che seguono una prodezza di Roger in cui nello spettatore si fondono stupore e ammirazione, sorpresa e appagamento del gusto estetico. In questa sede, impiegheremo l’espressione Federer Moments con un’accezione leggermente diversa: proveremo a focalizzare alcune istantanee per evidenziare lati meno appariscenti del campione. Roba che magari un archivista finirebbe col trascurare e che invece costituisce testimonianza. Non ripercorreremo la saga di Wimbledon culminata con il record di vittorie, ma ci limiteremo a rivisitare l’evoluzione delle esultanze: dal ragazzino che nel 2003 corona il sogno adolescenziale sino all’uomo maturo che a 31 anni chiude il cerchio sbattendo la porta in faccia all’idolo di casa Andy Murray. Nel mezzo le rivalità con Andy Roddick e Rafa Nadal: Federer non è mai banale neppure negli attimi successivi al trionfo. Beato lui, ha avuto il privilegio di poter piangere più volte per la gioia di un successo che di delusione per una sconfitta, ma ha comunque assaporato il retrogusto amaro di arrivare a un passo dalle porte del paradiso tennistico ed essere respinto. Anche per questo, l’esternazione di giubilo si accompagna al rispetto dell’avversario: la conoscenza di ciò che si prova a doversi accontentare del trofeo per il finalista impedisce ogni slancio baccanale. Se Wimbledon ha scandito la sua carriera, le premiazioni servono a cristallizzare anche la maturazione dell’uomo divenuto nel frattempo marito, padre e icona globale del proprio sport.
Abbiamo poi voluto raccogliere alcuni dei commenti dedicati allo svizzero da altri grandi protagonisti del mondo delle racchette: non c’è un solo giocatore che abbia affrontato Federer che non lo incoroni come il più grande di sempre e anche tra i fuoriclasse del passato, l’ammirazione è pressoché totale. Infine, ci siamo voluto concedere una nota ironica per stilare una lista di 17 motivi semiseri che “rafforzano” la tesi per cui il volto del GOAT abbia un’impressionante somiglianza con il signore di Basilea.


 Capire Federer dalle esultanze di Wimbledon

Uno dei più grandi allenatori di pallavolo e straordinario conoscitore della psicologia umana applicata alla sport come Julio Velasco, ha ripetuto spesso di prestare attenzione a ciò che facevano gli schiacciatori. Non durante l’esecuzione del proprio gesto tecnico quanto nella reazione che manifestavano alla chiusura del punto. Era quella il termometro per capire se c’erano la giusta concentrazione e lo spirito di gruppo necessari per centrare l’obiettivo. Se si preoccupavano di disquisire con il palleggiatore sulla qualità della palla alzata, scattava la reazione del tecnico convinto che “il grande schiacciatore non commenta l’alzata. La risolve”. Come detto, questo libro non si propone di essere una biografia di Roger Federer e per questo abbiamo deciso di soffermarci su un dettaglio, su qualcosa che soffocato dalla morsa della cronaca rischia di sfuggire nell’imminenza di un grande evento. I successi di Federer sono legati soprattutto a Wimbledon e valutare come sia cambiato il  suo modo di esternare la gioia ci può svelare qualcosa di come è cresciuto nel cammino di una carriera lastricata d’oro.

Wimbledon 2003 Finale contro Mark Philippousis 7-6, 6-4, 6-2
E’ il momento della consacrazione. Federer non ha ancora compiuto 22 anni, eppure sembra che l’appuntamento con il primo titolo ai Championship sia stato già rimandato troppe volte. In finale è stato perfetto, abile a disinnescare il servizio esplosivo dell’australiano con la maggior completezza del proprio repertorio. Ma l’algido campione che conquista Londra senza una sbavatura lascia spazio nella premiazione al ragazzo che corona il proprio sogno. Nel discorso post partita, Roger prima fatica a mascherare il sorriso poi si scioglie in lacrime di gioia allorchè vuole ringraziare amici e parenti giunti dalla Svizzera per celebrarlo. E’ un momento epocale perché segna la maturazione caratteriale del fuoriclasse. Federer da ragazzino non era affatto posato. Sono note le sue intemperanze da junior e anche nei primi anni da pro si era fatto notare per la tendenza ad andare in escandescenza. Proprio, dopo uno di questi show, cominciò a riflettere su dove sarebbe arrivato continuando a comportarsi così. Risposta: da nessuna parte. E nei tornei successivi, non dare luogo a scenate diventa la priorità. E in effetti, il comportamento diventa da meditatore zen. Peccato, che con le intemperanze fosse svanita anche la capacità di combattere in campo. E allora come in una sintesi hegeliana dove la tesi consisteva nel non controllare la rabbia e l’antitesi si riverberava nell’annullamento di ogni spinta emotiva, Federer arriva alla soluzione. Gli scatti d’ira sono controproducenti ma la voglia di vincere non può essere annullata. Come si può perfezionare un dritto o il servizio, si può migliorare il proprio carattere smussando gli angoli e canalizzando le proprie ambizioni nella carica con cui affrontare partite e allenamenti. Il risultato è quello che ammiriamo da almeno una dozzina d’anni: un giocatore sportivo, non eccessivo ma che non si vergogna di esternare la propria gioia per una vittoria o la propria delusione per un trionfo mancato. In entrambi i casi con le lacrime.
Wimbledon 2004 Finale con Andy Roddick 4-6, 7-5, 7-6, 6-4
Vittoria con Roddick in quattro set e l’impressione che Federer abbia vinto giocando soltanto a tratti al proprio livello. A vederlo rotolarsi nell’erba, si è quasi sorpresi dell’esuberanza di chi, per tutta la partita, è talmente plastico nei movimenti da apparire irreale. Nel 2004 Federer ha la conferma di essere il migliore: può perdere una partita, ma dipende da lui. Se gioca sui suoi standard o anche una tacca sotto, la vittoria non gli può sfuggire. Aumenta la convinzione ma anche la pressione perché il tennis è l’unico sport che prevede l’eliminazione diretta sempre, tutti i turni, tutti i match. Non c’è la rassicurazione di una classifica da poter rimontare, non c’è appello. Se si è in giornata no, si è fuori anche se si è i migliori in assoluto. Anche per questo Federer non perde la meraviglia nel trionfare, incantato come un bambino che ha ottenuto il giocattolo che aspettava da tempo.

Wimbledon 2005: Finale con Andy Roddick 6-2, 7-6, 6-4
Se possibile, il successo è ancora più netto. La gioia è simile a dodici mesi prima, ma c’è un gesto ancora più cordiale nei confronti dell’americano a metà tra l’empatia di chi sa di aver infranto il sogno di qualcun altro e l’altezzosità di chi pensa: “Mi spiace, amico, ma sei nato nell’epoca sbagliata”. E Roddick lo riconoscerà: “Voi giornalisti parlate di rivalità. Ma quale rivalità ci può essere se vince sempre lui?”

Wimbledon 2006: Finale con Rafael Nadal 6-0, 7-6, 6-7, 6-3
E’ il primo capitolo della saga londinese tra i due grandi rivali. Quando Nadal manda a lato l’ultimo rovescio, Roger Federer sembra quasi sollevato. Le sue vittorie non fanno più notizia, in caso di sconfitta si griderebbe allo scandalo.. E per quanto Rafa dovesse ancora completare il processo di adattamento all’erba, la partita si era rivelata meno facile di quanto il primo set (un devastante 6-0 per l’elvetico) facesse attendere. Il saluto finale – cordiale come sempre tra i due campioni – sembra quasi un preludio alla rivincita. Nadal sa che il battesimo alla finale dei Championship è da archiviare positivamente, Federer è convinto che la prossima volta sarà ancora più dura.

Wimbledon 2007: Finale con Rafael Nadal 7-6, 4-6, 7-6, 2-6, 6-2
Uno smash appena appoggiato e il crollo a terra, felice ed esausto. Federer ha sempre sofferto Nadal e anche in questa finale spesso non è riuscito a smarcarsi dall’asfissiante diagonale, con il suo rovescio che faticava a contenere il vorticoso dritto del maiorchino. Ma alla fine è lui avere la meglio e vive il quinto successo a Londra come una liberazione. Ha respinto l’assalto di Rafa (almeno per ora), ha eguagliato il record di Borg di trionfi consecutivi e ha dimostrato di sapersi imporre anche quando la partita si trasforma in battaglia.

Wimbledon 2009: Vittoria con Roddick 5-7, 7-6, 7-6, 3-6, 16-14
Ci sono giocatori che hanno il rimpianto di concludere una carriera senza aver mai giocato la partita della vita. E poi ci sono quelli come Roddick che la partita della vita la giocano. E la perdono. E’ la terza volta che arriva alla finale e per la terza volta si deve arrendere a Roger: stavolta la dea della vittoria l’ha sedotto e abbandonato. L’americano ha fatto tutto ciò che poteva, compreso sistemare quel passante di rovescio che nelle passate occasioni si era rivelato il suo tallone d’Achille. Ma dopo cinque ore è Federer ad avere l’occasione di esultare. Sul campo si limita a un saltello, a una racchettata contro il nastro per stemperare la tensione e a qualche parola di conforto verso l’amico-rivale. Quello che è sfuggito alle telecamere lo ha raccontato lo stesso Roddick. Dopo il ritiro, l’americano ha intervistato Federer ed è tornato su quei momenti: “Non abbiamo più parlato della partita perché mi faceva troppo male ripensarci. Ma mi ricordo che mentre ero nella mia stanza tu hai chiesto al tuo team di non esultare, di non fare troppo rumore perché sapevi cosa stavo passando. Non sai quanto l’ho apprezzato”. “Avevo capito che in quel momento la tua delusione era più grande della mia gioia” la replica di Roger: ecco, senza andare a scomodare fisica e metafisica, religione e filosofia, per capire la grandezza di Federer come sportivo, questo episodio basta e avanza.

Wimbledon 2012: Vittoria con Murray 4-6, 7-5, 6-3, 6-4
Sul passante dello scozzese troppo lungo di una spanna, Federer può festeggiare il suo settimo Wimbledon. Si lascia cadere come al solito e si gode il successo. E’ visibilmente commosso ma trattiene le lacrime perché “avevo paure che le bambine si spaventassero vedendomi piangere”. È il successo della maturità che introduce la fase della carriera più serena di Roger. Dopo aver raggiunto Sampras (sette allori londinesi) non ha altri record da inseguire perché li ha battuti tutti. Non deve neanche rendere conto della rivalità con Nadal, logorato dagli sforzi fatti per insidiarne il regno. Non si preoccupa di macchiare le statistiche o di accusare talvolta qualche giornata storta che costa scivoloni contro giocatori decisamente inferiori. Perché continua? Più per emozione che per i numeri. Non gli serve aggiornare uno score personale e ancor meno ha bisogno di altre entrate economiche: si vuole godere fino in fondo l’emozione di spalti che acclamano il suo nome, l’adrenalina di giocarsi un quinto set di una finale. Vincere rimane l’obiettivo, ma può permettersi – adesso e finalmente – di perdere una partita senza che nessuno lo metta dietro la lavagna.

Il libro su Federer che spiega perchè è il goat

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Federer , perchè è il più grande

Federer , se non è lui il GOAT allora chi?


Negli articoli precedenti su Federer ( http://federergoat.blogspot.it/2015/12/federer-e-il-goat-questione-di-stile.html ) abbiamo esaminato secondo cinque parametri i candidati al GOAT tennistico: vittorie, continuità, apice, stile e atteggiamento.


Giunti a questo punto del percorso, immaginiamo che tutti i grandi della racchetta siano seduti a un tavolo e che una voce imponga a chiunque non rispetti tutti i criteri di assegnazione del Goat, di abbandonare il proprio posto. Lo sappiamo, è anche la stessa trafila di eliminazione dei reality televisivi, ma l’immagine della tavola è più suggestiva richiamando qualcosa di ancestrale. Abbiamo escluso chi non ha vinto abbastanza (McEnroe, Gonzales) o che non ha vinto su ogni superficie (Lendl,Sampras), chi per problemi fisici o per mancanza di tenuta caratteriale non ha dominato per un tempo sufficiente o  (Borg, Hoad, Kramer), chi si è mantenuto sull’eccellenza senza però mai sovrastare i rivali (Connors, Rosewall, Budge, Agassi, Becker, Edberg), chi ha avuto comportamenti non consoni a farlo considerare l’emblema del tennis (Tilden). A malincuore abbiamo dovuto scartare anche i talenti inespressi della racchetta, gente che avrebbe potuto scrivere pagine straordinarie ma ha preferito tenere il tappo ben sigillato sulla penna. Gente come Diego Nargiso che dopo la convocazione come singolarista in Davis nel 1990, alla vigilia del match con l’Austria rassicurò tutti con un deciso: “So come si batte Skoff”, ma poi preferì non svelare il segreto perdendo con un agghiacciante 0-6, 0-6, 2-6. Abbiamo sospeso il giudizio su chi ha ancora spazio per accrescere il proprio palmares pur apparendo ancora lontano dal GOAT (Djokovic) e abbiamo esaminato con cura tutti i risvolti del maggior rivale contemporaneo di Federer osservando come rimanga un gradino sotto (Nadal). È emerso come i principali contendenti al Goat siano Roger Federer e Rod Lever e, seppur per un incollatura, i numeri premiano lo svizzero.
Questa un’ipotetica classifica tracciata secondo i nostri parametri:

1. Roger Federer
2. Rod Laver
3. Bill Tilden
4. Rafael Nadal
5. Bjorn Borg
* Novak Djokovic (Il serbo è ancora in grado di entrare nella top five se saprà arricchire ancora il proprio palmares allungando il proprio regno)


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lunedì 11 luglio 2016

Federer , l'importante di emozionarsi per emozionare

Federer e la massima di Tagore


"Le nuvole tramano per oscurare la luna e si sentono forti se ci riescono. Ma il destino delle nuvole è di scomparire, la luna rimane". Così diceva Tagore e la metafora ben si adatta all'astro di Roger Federer. In questi anni, almeno dalla finale di Wimbledon 2008 con Rafa Nadal, sulla testa del campione svizzero si sono addensate tante nubi di ogni forma.
Da quelle che portavano il nome dei grandi rivali: Nadal prima, Djokovic poi a quelle più cupe ispirate dall'incedere del tempo, dagli infortuni che si sono affacciati nell'ultima parte della carriera ai rumors.
Le verità sono due: la prima è che la statistica impietosamente conferma come vincere un torneo dello slam dopo i trent'anni sia impresa ardua, rara e quasi impossibile da ripetere. Dire che oggi Federer sia fisicamente lo stesso di dieci anni fa, è oggettivamente una follia. A 35 non si sta come a 25, Roger sta benissimo rispetto ai normali coetanei ma inevitabilmente ha perso qualcosa. Centesimi e centimetri, ma nel tennis fanno la differenza.
La seconda verità è che in quest'ultimo scorcio di Federer c'è un lato ancora più romantico. Se la domanda è: "Ma chi glielo fa fare di dannarsi l'anima ancora a rincorrere una pallina per resistere all'impeto di ragazzi più giovani anche se di caratura tecnica inferiore?" la risposta è più semplice di quanto sembri: "Si diverte. Si emoziona". Federer ama ancora giocare a tennis: accetta di perdere qualche partita in più, non si preoccupa di macchiare qualche statistica. Non si allena per i record ma per le emozioni che un campo da tennis sa ancora regalargli. Nel suo: "Non mi perdono i due doppi falli" nella conferenza stampa post Raonic c'era tanta rabbia. Ma ancora più che per il trofeo, il rammarico è di non aver vissuto l'emozione di scendere nuovamente in campo per una finale, di provare quelle sensazioni uniche che sa darti l'atto conclusivo di Wimbledon.
Così come un attore, un cantante o un poeta hanno bisogno di emozionarsi nel compimento della loro arte per emozionare, così Federer riesce a emozionare ancora milioni di appassionati perchè si emoziona ancora impugnando una racchetta.
Il risultato è unico: perché potremo discutere all'infinito sul fatto che Federer sia il più grande di sempre e non possiamo escludere che in futuro possa arrivare qualcuno in grado di battere i suoi record, ma abbiamo l'assoluta certezza che non ci sarà mai più un altro che giocherà come Roger Federer.

Federer perchè è il più grande

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